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Zlatan Ibrahimovic, figlio di un Dio pallone

Zlatan Ibrahimovic è unico. Non è solo il calciatore che per vent’anni ha accumulato vittorie e trofei ma un personaggio trasversale, oltre il calcio, oltre lo spettacolo, oltre, spesso, la natura delle cose.

È figlio d’immigrati e nonostante tutto e tutti, compreso il suo carattere, è arrivato in cima al mondo del calcio, è il personaggio più popolare e lo sportivo più rappresentativo di una nazione che lo ha sempre guardato con diffidenza, pur ammirandolo.

Il primo impatto lascia il segno: Zlatan Ibrahimovic è molto alto, sorridente, asciutto ma con spalle da culturista. Capelli tirati indietro, codino, nasone incipriato per l’occasione e l’aria di chi sta bene. È rilassato. La sua presenza è imponente. Lui lo sa e cerca di metterti a tuo agio. Come essere in una capanna in un bosco e condividerla con un gigante buono.

Perché un altro libro, dopo Io, Ibra?

Il primo è la storia della persona, di Zlatan. Questa invece è la storia del calciatore. Foto, testi, ricordi e tutti i dati della mia carriera. È facile ricordare il gol che ho fatto settimana scorsa, ma la mia carriera è lunga vent’anni e penso che ci siano tante cose da fissare su una pagina, per non dimenticare.

A cercare il pelo nell’uovo, a Barcellona non andò benissimo.

Io la vedo diversamente. I primi sei mesi è andata molto bene, e poi tutto è cambiato in peggio. Guardiola aveva un problema con me solo che non voleva affrontarlo e io non riuscivo più a essere me stesso, con il suo atteggiamento è riuscito a farmi dubitare di me e delle mie capacità.

Il libro s’intitola Io sono il calcio. Ma cosa è il calcio?

Il calcio è quando fai la differenza. Il calcio è quando non sei uno come tanti: quando sei unico. Ci sono giocatori che giocano a calcio e ci sono giocatori che pensano il calcio. Zlatan Ibrahimovic pensa calcio inventa, gli altri invece solo seguono. Io quando gioco amo fare la differenza.

Padre musulmano, madre cattolica: che rapporto ha con la fede?

Io sono il mio Dio. E poi chi sarebbe Dio? Quando mio fratello è morto, dov’era Dio per salvarlo? Credo nel rispetto e nella disciplina. Se tu mi rispetti io ti rispetto, non mi interessa che fede professi. Non sono di quelli che quando fanno un gol ringraziano il cielo. Il portiere che lo subisce cosa dovrebbe fare? C’è un dio che favorisce me e sfavorisce lui?

Nel libro spiega come sia stato difficile con il suo cognome il rapporto con la nazionale e il suo Paese.

Sono convinto ancora oggi che se mi fossi chiamato Svensonn le cose sarebbero andate diversamente e avrei avuto qualche possibilità in più. Però riconosco che mi ha stimolato molto, dovevo essere dieci volte meglio degli altri per raggiungere gli stessi traguardi. E l’essere discriminato mi ha spinto a lavorare come un matto.

Lei si sente svedese?

Zlatan Ibrahimovic è “il nuovo svedese” e credo di avere rappresentato la Svezia con molto onore. Se avessi avuto un cognome diverso mi avrebbero certamente protetto di più, ma non ho mai chiesto trattamenti di favore, solo di essere trattato come tutti gli altri.

La sua compagna Helena ha undici anni più di lei.

E mi ha aiutato molto, non è facile starmi vicino. Se fosse stata più giovane probabilmente mi avrebbe lasciato o l’avrei lasciata io. Per seguirmi ha abbandonato la sua carriera e non volevo fosse un sacrificio vano il suo. Ho sempre desiderato ripagarla. Si dice che le donne dei calciatori facciano una vita al top, ma la sua non è stata facile. Ho girato tanto e mi è sempre stata vicina.

Come per la Juventus, il suo motto è «l’importante è vincere». Ma non era importante partecipare? Ai suoi figli cosa insegna?

«Insegno che l’importante è vincere».

Ma non è un po’ antisportivo?

No, uno deve giocare per vincere. I miei ragazzi se perdono si arrabbiano molto. Mi somigliano.

Li fa vincere ogni tanto?

Mai. Devono guadagnarsi la vittoria, nella vita nessuno ti regala niente. Poi accade di perdere o arrivare secondi e non è una tragedia, ma non bisogna abituarsi o accettare la sconfitta. Per essere i numeri uno bisogna solo lavorare molto. E questo cerco di insegnare loro.

Potesse passare loro una sola cosa…

Non avere timore nell’accettare una sfida. Provo a educarli come sono stato educato io, certo, in condizioni economiche diverse.

Le manca qualcosa di quando viveva in quartieri difficili?

Mi manca camminare sul filo, quei momenti dove potevi essere selvaggio, dove sei cosciente di giocare con il fuoco e sai che puoi bruciarti. Sono cambiati i quartieri, le case, le mie possibilità, ma la mia persona non è mai cambiata. Ho sempre la stessa fame.

Estratto di un intervista di Vanity Fair

 

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